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      Verso le cinque, appena era spuntato il sole, la popolazione si faceva pił fitta, e tutti andavano al Palazzo, lassł da Neri, a bere il latte munto d'allora. Questa era la tradizione, il rito, l'obbligo, per chi voleva solennizzare in tutte le regole l'Ascensione. I fiorentini ci facevan la bocca fin dalla sera innanzi a quel latte, che Neri, il capoccia della famiglia colonica che aveva in affitto dalle "Regie Possessioni" il podere delle Cascine, faceva mungere per due crazie il bicchiere.
      Dal Palazzo, la gente si sparpagliava pei viali, pel bosco e nei boschetti detti "gli Alberini," onde accaparrarsi un buon posto all'ombra e cuocere all'aria aperta il desinare, e starsene in santa pace a mangiare sull'erba. Intanto si cominciava a veder qua e lą il fumo delle legna, che si accendevano per far l'arrosto; e per l'aria si sentiva l'odore dell'agnello coi piselli cotti su certi fornelli che con la cestina portavan quelli che improvvisavano le trattorie.
      Da un momento all'altro, dalla Porta al Prato dove principiavano allora le Cascine fino al Palazzo, si vedevan mettere le tavole apparecchiate e le panche per quelli che si fermavano a mangiare. Ognuna di queste trattorie, che erano innumerevoli, aveva cinque o sei fornelli di terra per cuocere l'agnello che, in quel giorno si mangiava per benedizione, in certi tegami grandi pure di terra, detti "di Cancelli;" e sul banco, piramidi di fiaschi di vino, di vermutte, e di vin bianco; e salami e prosciutti e ova sode, e ciambelle di pane alla casalinga, fresco, croccante, da far venire l'appetito anche a chi non l'aveva.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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