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      Se nessuno s'aspettava l'innalzamento al trono pontificio dell'oscuro vescovo d'Imola, molto meno s'aspettava da lui il famoso editto del 16 luglio successivo, col quale aprì le carceri e le porte di Roma a tutti i condannati politici. Questo fatto inaudito per opera d'un papa, diede da pensare ai filosofi non abituati ad illudersi, e a mandare in solluchero le plebi che credono a tutto ed a tutti, quando vedon compiere un'opera buona, senza occuparsi del movente di essa.
      L'Austria vide di mal occhio quello slancio di liberalismo, quell'impeto di riforma del nuovo pontefice; e non potendolo attaccare di fronte, cercò di abbindolarlo coi consigli, con le disinteressate profferte di guida e di sostegno. Ma Pio IX ubriacato ormai dalla popolarità acquistata, dall'entusiasmo destato senza avere la minima convinzione del bene che le turbe credevano volesse fare all'Italia, tirò per la sua strada, e parve il principe più rivoluzionario del suo tempo.
      Le franchigie e le riforme di lui, misero in orgasmo gli altri Stati; poiché tutte le popolazioni avendo gli occhi rivolti a Roma, e non benedicendo che i nomi di Pio IX e del Gioberti, chiedevano le stesse franchigie e le stesse riforme.
      La Toscana anch'essa subì il fascino dei nuovi tempi iniziati dal papa Mastai, e credé possibile la utopia che per l'appunto dal Vaticano dovesse sorgere l'astro che avrebbe guidato l'Italia alla grandezza e alla libertà.
     
      L'Austria, per mezzo del Metternich, stava con tanto d'occhi, perché Leopoldo II non si lasciasse vincere la mano dagli eventi.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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