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      Egli però, che come principe se non era ben guidato da savi ministri non poteva operare di propria iniziativa, non sapeva come contenersi, e si contentava di stare a vedere quel che faceva Pio IX per potersi regolare.
      Ma se nel Ministero toscano non vi erano gli uomini di mente adatti alla gravità del momento, si trovavano al di fuori degli spiriti illuminati, che si preoccupavano dello Stato e si affliggevano nel vedere come si lasciasse sfuggire al principe l'occasione di mettersi alla testa di un movimento lealmente liberale e italiano. E questi uomini furono Bettino Ricasoli e Vincenzo Salvagnoli.
      Il Salvagnoli d'accordo col Ricasoli e con Gino Capponi, il quale però perché cieco non poteva prendervi una parte molto attiva, compilò una nobile e fiera petizione in data del 4 marzo 1847 che faceva noti al Sovrano i bisogni e i desiderii del pubblico. Il Ricasoli portò da se stesso la petizione al ministro Cempini, l'unico del quale egli avesse stima.
      La petizione compilata dal Salvagnoli rispecchia tutto intero l'animo apertamente italiano: e la lealtà e la fermezza dei sentimenti ivi espressi possono servire anche oggi di norma e di guida a chi desideri veramente il bene della patria.
      Non è qui il caso di trascrivere quell'importantissimo documento; ma non è ozioso riportare il sunto dei punti principali.
      Dopo aver detto che a tutti è lecito pensare alle cose pubbliche, tanto più quando aumentando il numero dei mali cresce la necessità dei rimedi, lo scrittore entra subito nel merito della questione additando quei mali e consigliando quei rimedi, senza tanti preamboli e senza riguardi.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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