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      Dove abitano, come vivono e come parlano questi miserabili vedremo in seguito. Osserviamo finalmente, che se per il suo sudiciume la plebaglia è brutta a vedersi, per la sua selvaggia rozzezza è altrettanto disgustosa a trattarsi. Costituisce una società nella società, con alcune consuetudini dagli interessati riconosciute per leggi, con lingua propria, con mestieri speciali, e con una certa gerarchia, di cui quelli che occupano gradi superiori, sono almeno temuti se non rispettati od amati.
      Questi miserabili non hanno religione, sono schiavi di molte superstizioni ed hanno di tali loro stolte credenze, non sacerdoti ma sacerdotesse; essi hanno infine una importante caratteristica, già notata dal Machiavelli, ed è che presi singolarmente fanno schifo e ribrezzo e veduti raccolti in massa incutono spavento.
      Chi si mostra sfegatato idolatra della feccia, non l'ha neppure vista da lunge.
      Gli aristo-democratici non l'hanno mai studiata dappresso e Cassio la conosceva quanto Marat, e Robespierre ne sapeva quanto Marco Bruto. Le illusioni loro, sì presto mandate in fumo dalla plebe ne sono una prova.
      Sembrami di vedere quel bravo giovinotto di Cajo Gracco attraversare il foro zeppo dei partigiani della legge agraria. L'elegante figlio del patrizio Sempronio e dell'unica ma ambiziosissima Cornelia; è appena uscito dal tepidario, e a stento può reggere al lezzo caprino, che esala dalle vesti di grossa lana di quella moltitudine. Egli è costretto di portare alle nari la bulla piena di preziosi aromi orientali, mentre ricambia sorrisi ed occhiate a destra e a sinistra, la calca gli si pigia dattorno e col suo puzzo l'ammorba, raccoglie a due mani la toga intento a schivare il contatto dei più vicini, grida: "Popolo sovrano, ti farò rendere giustizia da codesti aristocratici, te lo promette Cajo Gracco.


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Milano in ombra.
Abissi plebei
di Lodovico Corio
Civelli Milano
1885 pagine 124

   





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