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      D'estate, in tutte le osterie si giuoca da mattina a sera alle boccie e d'inverno si giuoca a tarocchi, a tresette, a briscola, e infine alla mora. Questo giuoco chiassoso, che Orazio ben conosceva e che chiamavasi a' suoi tempi popolano in digitis dimicare, è uno dei passatempi più graditi pel milanese, giacchè risponde meglio d'ogni altro alla sua indole ciarliera ed urlona; serve alla ginnastica del polmone, e a far sentire sempre più il desiderio di ingozzare del vino. Laonde la maggior parte degli osti sono anche giuocatori di mora e organizzano partite nei loro negozi ed invitano, esortano, eccitano i loro avventori a giuocare; sapendo che come tutti i salmi finiscono col gloria, così ognuna di queste partite finisce coll'assorbimento d'un litro di vino, il che dà ad essi non piccolo vantaggio.
      Anzi, un oste che sappia il suo mestiere fa di più: quando vede tranquillamente seduti nel proprio negozio uno qua uno là alcuni suoi avventori, egli li raccozza e si mette tra essi come trait d'union, affinchè si accingano a giuocare e partecipa egli pure a qualche partita. Basta questa presentazione dell'oste, perchè quei buoni avventori prima di notte siano amici e stiano tra loro come pane e cacio e si promettano di ritrovarsi al tavoliere anche la sera seguente. La partecipazione dell'oste al giuoco è la garanzia della lealtà dei singoli giuocatori.
      Vi sono alcuni operai, che sono diventati famosi quali giuocatori di mora, e tengono il campo in certe osterie, dalle quali i novellini stanno lontani come i topi dalle trappole.


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Milano in ombra.
Abissi plebei
di Lodovico Corio
Civelli Milano
1885 pagine 124

   





Orazio