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      La pena è in conclusione la controspinta, e perciò deve essere logica e morale. Il carcere a sistema di famiglia non è nè logico nè morale. Non è logico, perchè per punire dei delinquenti di niun conto li accomuna con altri di peggior conto, e questi servono di scuola a quelli, e quindi invece di reprimere il male lo favorisce e quasi lo promuove; non è morale, perchè impedisce a colui che fu arrestato di ridiventare galantuomo, giacchè quando viene rilasciato in libertà esce dal carcere inviluppato da conoscenze infami, dalle quali non gli è facile liberarsi.
      Poichè (diceva l'illustre Carlo Cattaneo riassumendo alcune idee del Romagnosi intorno a siffatta materia) se il progresso dei tempi e il predominio della ragione introdussero nel carcere la disciplina, la salubrità, la nettezza, la luce, il lavoro, non giunsero ancora a togliere la convivenza depravatrice.
      Il carcere riceve il novizio del delitto, reo forse d'una lieve infedeltà, tutto ansante di vergogna, di spavento, di rimorso e lo dimette dopo pochi mesi, indurato nel cuore, dotto nei misteri dell'iniquità, abbronzato nell'impudenza, consumato e disperato al pari de' suoi insegnatori.
      La promiscuità fra giudicati e giudicandi, fra colpevoli e innocenti, fra i trasgressori di qualche frivola disciplina politica o civile e gli esseri più abbominevoli od infami non giova certo ad impedire il male.
      La pena del carcere è una tremenda necessità sociale, bisogna quindi ch'essa venga inflitta con criterio indipendente da ogni passione e scevro da ogni pregiudizio, affine di non aggravare l'infelice condizione di tanti sventurati.


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Milano in ombra.
Abissi plebei
di Lodovico Corio
Civelli Milano
1885 pagine 124

   





Carlo Cattaneo Romagnosi