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      Allora tutti gli corrono addosso e chi gli toglie il moccicchino, chi il cappello, infine, quanto ha di meglio sopra di sè, tutto gli vien portato via.
      La preda si consegna al capo della cella, il quale pensa a farne spiccioli.
      Immaginiamo alcune di queste scene nelle carceri soppresse di San Vittore.
      Il derubato si rialza infuriato se è coraggioso, avvilito se è timido; in quest'ultimo caso va a rannicchiarsi in un angolo della cella in mezzo alle più sconcie risate dei concaptivi, nell'altro invece s'avventa alla cieca sul primo che incontra, e, mentre con costui sta per venire alle prese, gli saltano addosso gli altri a trattenerlo, finchè interviene colla propria autorità il capo-stanza a sedare il tumulto e a ristabilire l'ordine. Intanto questi ha già pensato a fa foraggià la scelpa, ossia a far scomparire la preda. Nel carcere di San Vittore il negozio si conchiudeva tra le due celle attigue, separate dal muro, che le divideva imperfettamente, giacchè non raggiungeva la volta. Il commercio si fa tra i due capi-stanza. Il venditore prende un pezzetto di carta, vi scrive sopra la proposta di vendita, poi mette in uno zoccolo il vigliettino che in gergo è detto lasagnin (al plurale lasagnitt), si pianta nel mezzo della prigione e grida: Casci? Si ode una voce che risponde dall'altra cella: Cascia. Allora il venditore lancia lo zoccolo, che supera il muro e va a cadere nell'altra cella.
      Ma come ha potuto colui scrivere il bigliettino? Un pezzettino di carta e un piccolissimo pezzetto di matita posseggono tutti i frequentatori delle carceri, nè v'ha occhio per quanto esperto che giunga a scoprire i mille nascondigli, che sa trovare o creare intorno a sè il prigioniero.


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Milano in ombra.
Abissi plebei
di Lodovico Corio
Civelli Milano
1885 pagine 124

   





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