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      Continua affermando che gli Italiani in altri tempi avrieno arrossito, non che di questo lugubre patto "cogli oppressori delle nostre contrade, i tormentatori de' nostri fratelli", - ma d'ogni lontana allusione pure a così pestilente alleanza "ch'è insulto a' morti e minaccia a' viventi" - "ch'è delitto, è vergogna, ancora è danno" - dacchè con essa postergasi, calpestasi, distruggesi ogni sacro principio in virtù del quale noi siamo sorti a dignità di nazione. Ed accesamente sdegnoso egli così prorompe:
      Ahi vergogna! Ahi dolore! Innestare l'Italia rediviva sul ceppo imputridito d'un'Austria moritura!
      E valga il vero, o Italiani: o non v'accorgete voi che quest'Austria decrepita e moritura comunica alla giovine Italia i guidaleschi del dispotismo, i cancri della tirannide e la tabe insanabile dell'oppressione? Così vero questo che, fermato appena il sacrilego patto, noi pur vedemmo que' dessi che l'avevano propugnato, iniziar, indi a breve, l'èra esecranda dell'iniquità mostruose, dell'inguistizie feroci, delle repressioni inique, delle soperchierie partigiane; e ultimamente - qual pegno rassicurante l'Austria sola - promuovere l'invasione delle deserte plaghe africane, a mo' d'espiazione per l'aver bramato un istante Trento e Trieste, e l'altre terre sacrosantemente nostre. A questo solo fine li vedemmo prorompere servilmente smaniosi e imitatori e improvvidi in Africa - e là sbracciarsi ad ammannire soggezione e catene ad un popolo che di loro non cura, li disprezza e li abborre, conforme egli ha ripetutamente chiarito col ferro, e col sangue - ahimè in troppo larga vena versato - dei figli d'Italia.


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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