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      A questo legittimo tribunale del popolo presenterommi fidente e impavido saprò aspettarne il giudicio.
      Nè stimo già sia un ricorrere a Giustizia privata questo fare appello in forma publica a corpi politici e publici, e, - postergata la venale Giustizia austro-sabauda - richiamarmi alla Giustizia candida, verace, genuina, ch'è pur sempre quella ch'emana da' cittadini.
      Veggano intanto li Italiani se convenga oltre più patire l'Austria noleggiatrice di coscienze tra noi - seppure i curiali ebbero coscienza mai - se convenga tollerare oltre più giudici che di seconda mano rendano ragione(75) per riverbero, e riverbero austriaco, ch'è peggio.
      Che s'io mi distendo di soverchio in così vitale argomento; se disdegnoso ma calmo levo oggi con la voce la fronte; gli è perchè presento che i tempi nuovi mi vendicheranno dall'infamie vecchie: gli è perchè vivo fidente che nell'oltraggio fatto a me solo si sentirà colpita la nazion tuttaquanta. Dacchè, per minimo ch'io mi sia, io sono pur cittadino d'Italia, e faccio parte integrante di questa nobile patria. Ond'è che questa patria diletta deve risentirsi per disonestà così fatte, sotto pena di vedere ogni dì i suoi figli sottoposti a così indegni strazi, a così scellerate abbominazioni.
      Che se mi sentissi pur d'un lievissimo che rimordere la coscienza, non io di certo mi porrei oggi a cotanto sbaraglio, entrando in questo pelago. Non sia chi mi ritenga a tal punto nemico di me stesso.
      E poichè publica - per quanto tramata nel mistero - la soperchieria e la calunnia, publico altresì oggi ne sia il risentimento e le conseguenze.


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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