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      Ho bisogno di mangiare. Quando qualche amico m'invita o che in qualche casa si celebrino nozze, io m'indosso la migliore delle mie vesti e corro. Fo di tutto per divertire i convitati: lodo il padron di casa; se taluno osa rimproverargli qualche cosa, lo difendo. Mangio. La sera me ne vo in casa, io, poveretto, solo solo, tra le tenebre, senza lume; perché non sempre posso aver con me un servo. Se mai per la strada m'incontro in qualche guardia, la prego perché non mi bastoni e mi lasci andare per i fatti miei; e se posso arrivar sano e salvo a casa, mi sdraio sul letto e mi godo tranquillamente quel sonno innocente, che mi ha conciliato il vino generoso, premio de' miei travagli del giorno(41). Maledetti coloro che hanno discreditata la piú onesta delle professioni dell'uomo! Un tempo i parasiti eran ministri degli dèi, alimentati dal pubblico(42). E, per Ercole! sai tu che cosa è un parasito? È il migliore amico che tu possi avere: almeno è il meno seccatore. E questo, credimi, è molto. Se tu sei lieto, egli è lieto; se sei mesto, ti consola. Non è né il tuo censore, né il tuo rivale, né l'emulo tuo: non si oppone a nessuno de' tuoi desidèri, non ti contrasta nessuno de' diletti. Niun parasito troverai che desideri veder povero il suo amico. Si fará ammazzare mille volte per te, se per premio gli prometti una cena. E che fanno mai tanti altri, i quali io chiamo "parasiti-satrapi"? La differenza è nel solo premio: una cena o un comando di armata. Or ditemi, Cleobolo e tu Platone, che sei il piú grande tra i filosofi dell'etá nostra: se è vero che tutte le virtú non hanno altro fine che quello di render gli uomini amici, ditemi, che manca ad un parassito per esser l'amico per eccellenza?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





Ercole Cleobolo Platone