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      Abari predicava la santitá de' riti, e Pittagora la santitá de' costumi; Abari avea piú cura degl'interessi degli dèi, e Pittagora piú di quelli degli uomini. Avvenne quel che dovea avvenirne. Abari, il quale moltiplicava le espiazioni, fu piú accetto a Falaride di Pittagora, che moltiplicava i rimorsi. Accarezzato sulle prime, perché anche gli scellerati carezzan sempre la virtú e la sapienza, finché sperano di poterla comprare (i soli stolti la disprezzano); quando si conobbe che la sua virtú resisteva ad ogni seduzione, fu temuto, ed il timore lo rese odioso. - Gli scellerati son potenti - gli diceva Abari: - essi ti perderanno. - Non mi perderanno - rispondeva Pittagora, - se gli dèi non vogliono. La mia vita è in mano degli dèi: essi son quelli che m'ispirano la veritá. - Pittagora intanto diventava ogni giorno piú caro al popolo, perché ogni giorno Falaride per le sue crudeltá gli diventava piú odioso.
      Eccoti che un giorno, mentre Pittagora era nel fòro, concionando al popolo, arrivano i satelliti inviati da Falaride per ucciderlo. Pittagora ragionava sull'uso e sull'abuso del potere, e mostrava quanto degno di lode esser colui che ne usava per bene de' suoi popoli, tanto degni di biasmo esser gli altri che ne abusavano per opprimerli; e questi ultimi finir quasi sempre con precipitar loro stessi e i figli propri in un abisso di mali, mentre i primi viveano sicuri ed amati e morivan lodati ed eguagliati agli dèi. Il popolo beveva questi detti, e faceva tra sé e sé il tacito paragone di ciò che Pittagora ragionava e ciò che oprava Falaride.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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