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      - Gli dèi - continuava Pittagora - dánno il potere ad un uomo solo, perché di rado avviene che i popoli abbian tanto di virtú, da poter fare da loro stessi la propria felicitá: il piú delle volte ne hanno appena sol quanto basta per non impedire che altri la faccia. Ma spesso avviene che perdono anche questa; ed allora gli dèi stessi permettono che colui, cui hanno commesso il potere, ne abusi, finché, scossi dall'estremo de' mali, gli animi ammolliti e corrotti riprendano nuova energia e ritorni nella cittá la concordia. Imperciocché non vi lasciate ingannare: il primo effetto della virtú è la concordia pubblica. La tirannide, nata da' pubblici vizi, non si stabilisce se non colla discordia; e, quando gli dèi voglion ristabilir il buon ordine in una cittá, dánno un segno, da cui gli animi de' cittadini sian di nuovo quasi invitati a saggia e virtuosa concordia... -
      Era giunto Pittagora a queste parole. I satelliti tentan penetrar nella folla. Il popolo si oppone, e nasce un rumor grande. Pittagora, senza cangiar né sito né colore: - Ecco il segno! - gridò. - Cittadini, badate a me! gli dèi ve lo dánno giá il segno! - Uno stormo di timide colombe volava, fuggendo gli artigli di uno sparviero, che le inseguiva. - Perché fuggono quelle colombe? Esse son molte, e lo sparviero è uno solo. Ma esse non hanno virtú, perché ciascuna pensa solo a se stessa; perché non hanno virtú, son timide; e perché non han concordia, lo sparviero ad una ad una le divora tutte... - L'augurio è chiaro - odi gridare il popolo.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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