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      Ma giá è abbastanza di augúri e di voti: tu riprendi il racconto delle vicende de' collegi nostri.
      - Ricordatevi - è Archita che parla di nuovo - ricordatevi che i nostri collegi avean due fini: il primo era quello di conservare e diffondere le utili veritá, il secondo di dar ottimi cittadini allo Stato. A questi aggiungete un terzo: riunir gli animi delle nostre repubbliche e produrre cosí quella pace universale, che era l'ultima mèta de' nostri voti e della nostra filosofia. Dai pittagorici è nato la prima volta il detto: "il savio esser cittadino del mondo".
      Tutte le cittá, che voi chiamate "greche" e che noi chiamiamo "italiote"(96), quelle della Lucania e del Sannio si riempirono di pittagorici. L'abitante di Crotone incominciò a non veder piú nel sibarita il suo nemico, ma bensí il seguace della stessa dottrina e, quel che è piú, il seguace della stessa virtú. Ciasun pittagorico contava tra i suoi amici quasi tutti gli abitanti delle altre cittá greche. Non vi sembra verisimile che, col tempo, le cittá istesse sarebbero divenute amiche?
      Ma io ho detto "col tempo"; ed il tempo appunto mancò. I pittagorici non potevan riformar gli ordini generali di tutte le cittá, se prima non riformavano gli ordini interni particolari di ciascuna; e questo fece nascer l'invidia in molti e la corruzione anche tra noi. I nostri collegi han sofferto infinite vicende.
      È piú di un secolo da che furono quasi distrutti dalle furie di Cilone. Tutte le nostre case incendiate; i principali tra i nostri furono o uccisi o sbanditi; i libri dipersi; gli stessi nomi sarebbero stati condannati all'obblio, se fosse agli scellerati tanto facile estinguere il desiderio della virtú quanto è facile perdere i virtuosi(97).


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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