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      Ed io non vi negherò che con tali arti sia riuscito a taluno di far nascere cangiamenti grandissimi e non preveduti, perché ha assaltato la cittá nemica nel suo lato piú debole; in quel lato in cui essa poteva far meno per la sua difesa. Imperciocché ogni governo di niuna cosa è tanto tenace quanto degli ordini propri, e per niuna offesa può tanto facilmente esser vinto quanto per quella che, volendola evitare, lo costringa a cangiar gli ordini. Allora non vi è salute da sperare se non da un uomo sommo, il quale sappia che il modo piú sicuro di vincer l'inimico è quello di prevenirlo e di far da se stesso ciò che l'inimico abbia intenzione di fare.
      Ma vedete qual è la trista sorte di queste arti scellerate. Snaturano la guerra, che diventa una crudelissima universale sedizione. Il popolo vincitore, legato e dalla promessa che ha fatto ai vinti di dar loro quegli ordini che essi desideravano, e dal suo interesse, che è sempre quello di conservar in pace l'impero acquistato colle armi, ondeggia tra quei consigli medi, i quali né ci accrescon gli amici né ci diminuiscono i nemici, non distruggono né conservano il paese, e finiscono colla ruina degli amici e di se stesso. Gli spartani non riterranno l'impero della Grecia, né lo riacquisteranno gli ateniesi: il figlio di Dionisio non conserverá l'impero di suo padre. E le cittá nostre? Se oggi voi vorrete parlare, non persuaderete mai ai locresi che era ben frivolo onore quello di dare una loro cittadina per "moglie di campagna" ad un generale de' siracusani(108); non convincerete mai i nostri eupatridi(109) che nulla vi è di comune tra l'esser buon cittadino e discender per linea retta da Falanto; non indurrete mai quegli stolti di bruzi a confessare che una libertá senza leggi e senza magistrati è anarchia.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





Grecia Dionisio Falanto