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      Talora rispondono i begli spiriti, e le loro ironie, non intese dal volgo, dan fede a molte cose incredibili, che il popolo da sé non avrebbe immaginate giammai.
      Quando io veggo molte favole, immagino molta antichitá: ed allora il soggetto, cui le favole si attribuiscono, diventa per me un essere ideale, a cui si attribuiscono tutte le cose che hanno uno stesso carattere. Le genti tutte, prima che la loro storia sia sicura, simili ai fanciulli, immaginano delle persone, cui attribuiscono tutti i beni e tutti i mali che provano. Imperocché la nostra mente, tendendo sempre all'unitá, e non potendo, avviluppata tra i sensi, comprendere la causa unica di tutte le cose, immagina sempre delle persone. Cosí, dopo aver immaginato i dèi maggiori, che esprimono le forze della natura, i nostri padri immaginarono i semidei, che han formata la societá: Cerere, Ercole e Bacco; e dopo i semidei vien la Sapienza umana, personificata da loro nelle persone di Lino e di Orfeo.
      Non potrebbe Pittagora essere il Lino e l'Orfeo degl'italiani? Il suo nome al certo non ripugna a questa supposizione(117). Noi chiamiamo "ierofanta" il capo de' nostri misteri; il capo di un collegio di sacerdoti della Sapienza è, con molta proprietá di linguaggio, nominato "pittagora". Forse un individuo chiamato Pittagora non vi è stato altrimenti in Italia, come non vi è stato in Grecia un individuo chiamato Ierofanta; ma delle operazioni di questi diversi capi di collegi si è poi formata la storia di un uomo solo. Pittagora avea due altri fratelli, dei quali egli era il terzo.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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