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      Se l'errore è del popolo, i savi crederanno che tu ti servi dell'errore, e non giá che servi al medesimo.
      - Pittagora però disse una volta - ripigliò Spintaro - di essere stato nell'inferno e di avervi viste le anime di Omero e di Esiodo, sospese a due alberi ed esposte al vento, alla pioggia, al caldo, al gelo; e tutto ciò in pena di aver mentito tante cose indegne della natura degli iddii; e di aver viste anche le pene di quei mariti che avean in vita data alle proprie mogli ragion di dolersi della loro condotta. Or come mai vi può esser tartaro, se le anime sono in un eterno giro? Non siete voi stessi che gridate al volgo: - O sciocchi, spaventati dal timore della gelida morte! che Stige? che tenebre? che nomi vani temete mai? Essi sono tutti inventati dai poeti per spaventare il credulo mondo(137). -
      Rispose Clinia: - Quando Pittagora disse questo, non volea al certo dimostrare una veritá, ma distruggere un errore. Ne distruggeva quanto ne bisognava e come bisognava. Persuadete al popolo che Iddio non è simile alle immagini che ne hanno inventate Omero ed Esiodo, ed il popolo non crederá piú al tartaro de' poeti. Dite al popolo: - Il tartaro non è qual Omero lo ha descritto, - ed il popolo vi risponde: - Qual è dunque? - Imperocché nell'animo nostro non si può distrugger un'idea come falsa, se nello stesso momento non se le sostituisce un'altra che si creda vera. Che direte voi al popolo? Dovrete dirgli che l'animo nostro non può esser afflitto da pene corporali; che quelle pene, che i poeti fingono nel tartaro, sono indegne della onnipotenza di colui che genera col solo suo cenno la gioia e le pene, ovunque gli piace; che gl'iddii.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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