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      Imperciocché, o, pieni la mente delle sole idee intellettuali delle leggi ed ignoranti de' costumi de' popoli, li hanno spinti ad una mèta a cui non potevan pervenire, perdendo in tal modo il buono che poteano ottenere, per avere un ottimo che era follia sperare; o, conoscendo solo i costumi ed ignorando il vero bene ed il vero male, hanno sancito i medesimi, ed han fatto come quel nocchiero, il quale, non conoscendo il porto in cui dovea entrare, e servendo ai venti ed all'onde, ha rotto miseramente il suo legno tra gli scogli.
      Ma, ritornando alle leggi, è necessitá che esse sieno accompagnate da premi e da pene, onde possano efficacemente e distôrre gli animi dai vizi ed allettarli alle virtú. Né questa parte della scienza civile, che si occupa de' premi e delle pene, è di lieve momento o di facile indagine; perché inutili sono senza pena le leggi, e difficile è calcolare i rapporti che la pena ha colle opinioni e coi costumi de' popoli. Pene troppo severe, quali erano, per esempio, quelle del vostro Dracone, invece di spaventare gli animi, l'inferociscono. Pene troppo leggieri, quali erano quelle espiazioni che nell'etá degli eroi purificavano anche dal parricidio, rendono gli animi troppo audaci. Se non saranno proporzionate ai delitti, se, come si dice di Dracone, vorrete punir l'ozio colle pene dell'assassinio, invece di diminuire il numero delle piccole colpe, moltiplicherete i delitti maggiori. Quindi sorge per le pene una giustizia diversa da quella che deve esser norma delle leggi; e, se mi è permesso il paragone, questa deve procedere per ragion aritmetica, perché dá a ciascuno ciò che è suo; quella per ragion geometrica, perché prende la sua misura dal paragone delle azioni altrui.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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