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      Questi miei capelli bianchi ben vi mostrano gli anni miei. Io mi avvicino al termine delle cose mortali, che lascio colla persuasione di aver sempre amata la virtú. Ma ne' nostri monti non penetrarono ancora né le arti, né scienze che ingentiliscono i costumi e rischiarano la ragione degli abitanti di Taranto e di Atene. Noi siamo ancora quali si dice che fossero un giorno i nostri avi: "gente rozza e nata dai duri tronchi degli alberi"; ci contentiamo di oprare e lasciamo agli altri la cura di ragionare; e, se avvien talora che alcuno ne domandi: - Ma perché fate, ma perché non fate questo? - altra risposta io non saprei dargli se non che cosí faceva mio padre. Né mio padre seppe mai addurne altra, né forse altra ne saprá addurre mio figlio.
      Cosí oprando, cosí pensando, io ho vissuto finora i miei giorni tranquillo; perché tranquillo è sempre l'animo di colui il quale fermamente crede di oprar bene. Ma, se questa credenza gli viene a mancare, se la sua mano opera contro il precetto della sua mente, se opera mentre la sua mente è incerta ancora, alla tranquillitá succede il rimorso o almeno il dubbio inquieto. Tale oggi sono io, o giovinetti. Tante sublimi cose ho udito dir da voi sulla virtú, e tanto vari sono i vostri pareri, che io, mentre voi ragionavate, diceva a me stesso: - Se questi giovinetti, educati nelle gentili cittá di Atene e di Taranto, ripieni la mente de' piú sublimi precetti de' loro savi, col cuore reso docile dall'armonia e dalle arti, tante difficoltá provano a stabilir che sia virtú, come potrai tu, rozzo sannita, presumere di esser virtuoso?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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