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      Settant'anni di cure, dunque, non vaglion nulla, ed io morirò come l'ultimo degli uomini, incerto di aver meritata la stima dei buoni... Che dico io mai?... col rimorso di averla usurpata. E, quando dovrò render conto della mia vita, io non potrò dire: - Archita e Platone mi stimavano (che valerebbe la loro stima, se io stesso me ne credessi indegno?), ma sarò costretto a confessare di aver ingannati anche Platone ed Archita. Io finiva i miei giorni colla speranza di poter rivedere mio padre e mio avo in quelle regioni felici, ove si dice che gl'iddii, sempre giusti, inviano le anime de' buoni, e colla lusinga che un giorno vi sarei stato raggiunto da mio figlio; ed ecco che ora il vostro discorso ha tutta questa speranza dileguata. Or, per pietá d'un vecchio, per pietá de' miei genitori, de' figli miei, che pur son vostri eguali d'etá, ditemi, generosi giovinetti: tutte quelle vostre cognizioni sono dunque indispensabili a poter esser virtuoso? -
      Questo discorso e questa domanda assiderarono tutti li giovani. Essi non sapevano che rispondere, e rivolgevano gli occhi or a Ponzio, or ad Archita ed a Platone, quasi volessero dire al primo: - Perché fai tu questa domanda, - ed ai secondi: - Perché non rispondete voi? - Ma, per buona sorte, Ponzio li trasse da imbarazzo, ripigliando il suo discorso.
      - Ditemi, o giovani: prima che in Grecia si incominciasse a disputar sulla virtú, non contate voi tra' vostri maggiori verun uomo virtuoso? E quel Temistocle che salvò la vostra patria, e quel Leonida che seppe morir per la sua, e quell'Aristide che voi stessi chiamate il "giusto" per eccellenza, li crederete voi scellerati?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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