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      Le vostre scienze tendono a far savio l'uomo, ed io vorrei al contrario che si rendesse virtuosa la cittá intera. Allora la virtú sarebbe facile, i fanciulli la beverebbero col latte, e forse sarebbero virtuosi senza accorgersi di esserlo.
      Guai a quella cittá dove la virtú è uno sforzo! a quella cittá in cui un'azione virtuosa esige quel premio che si deve al solo valore! Allora io ammiro l'uomo, ma scuoto la polvere de' miei piedi e parto dalla sua cittá.
      Presso di noi la virtú non ha altro fondamento che il costume de' nostri maggiori, e, quando vogliam dire di un'azione che è virtuosa, noi la diciamo fatta secondo il costume dei maggiori nostri(153). Tutti pensiamo allo stesso modo: i nostri maggiori eran d'accordo tra loro; e noi lo siamo ancora, perché siam tutti d'accordo coi nostri maggiori. Noi dunque sappiamo, meglio che voi non sapete, in che sia riposta la virtú. La virtú della cittá è riposta nell'aver tutti i cittadini uno stesso costume; quella del cittadino nell'aver un costume conforme a quello della cittá. Se voi non avete costume pubblico, come pretendete aver virtú private?
      - Per Ercole! - diss'io allora, rivolto a Platone, - al modo come Ponzio ragiona, sarebbe ben tentato di rinnovar nella sua patria l'esempio degli efesi, che discacciarono Ermodoro sol perché era piú virtuoso di tutti gli altri. - Troppo virtú! - dissero essi. - Noi ti ammireremo sempre, ma vattene intanto altrove(154). -
      - Io non so, o Cleobolo, chi sia quest'Ermodoro, di cui tu mi parli: appena so Efeso.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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