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      Filolao oppone ancora per qualche giorno la prudenza ed il suo nome, fino a quel tempo venerato. Ma i novatori lo trovavan troppo fermo, gli amici dell'ordine antico troppo debole: egli non era che moderato. I piú audaci tra i primi alzano un grido, che lo accusa di tirannia. Tale è la natura del volgo nelle grandi agitazioni politiche, che il grido piú audace è per lui la ragione piú convincente. Tutti ripetono: - Muoia il tiranno! - Gli amici non possono piú difenderlo. Filolao è arrestato e strascinato in un carcere.
      Ma, mentre il popolaccio di Eraclea correva forsennato, e per tutte le strade altro non si vedeva e non si udiva che cadaveri, che sangue, i gridi della miseria che chiedeva pietá e del furore che minacciava esterminio, e tutto era desolazione, lutto, pavore e replicata immagine di morte; Filolao, nel suo carcere, sedeva in mezzo agli amici, aspettando tranquillo il suo destino, e l'anima sua era serena come la cima del monte, intorno ai fianchi del quale mugge la tempesta. Il furore insensato, il timore, la viltá non giugnevano fino a lui.
      I suoi amici piangevano, ed egli li confortava. Alcuni gli avean proposto di fuggire, e forse vi era qualche via a salvarlo. Ma egli rispose sempre: - Non saprei abbandonar la mia patria neanche quando essa mi è ingrata. Non avverrá mai che Filolao, per salvar un breve avanzo di miserabile vita, faccia ai suoi concittadini il piú grande dei mali che possa fare un uomo che in tutta la vita ha voluto esser giusto, dando loro un esempio di disubbidienza alle leggi; esempio, che sarebbe tanto piú funesto, quanto piú grande è l'opinione che essi hanno della di lui giustizia.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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