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      I poeti non sarebbero nati per certo nella mia cittá; e, se mai vi fossero venuti dalle altre, anziché diletto, avrebbero recata noia. Se, per esempio, vi fosse venuto un tragico, i miei cittadini gli avrebbero detto: - O virtuoso, qui siamo anche noi attori di tragedia bellissima. Le repubblica nostra è anch'essa un'imitazione dell'ottima vita; il che noi crediamo esser il soggetto della vera tragedia. Non credere perciò poter esser facilmente ammesso tra noi, poter innalzar scene in mezzo alle nostre piazze, e condurre istrioni, i quali gridino piú alto di noi e rappresentino alle nostre mogli ed ai figli nostri ed a tutta la turba de' cittadini, non giá le stesse cose che noi rappresentiamo, ma talora diverse e molte volte anche contrarie. Noi non vogliamo impazzire né turbar la cittá. Che se poi tu vorrai rappresentar quelle stesse cose che rappresentiam noi, temiamo, o virtuoso, che ciò ti sia piú facile promettere che eseguire. Noi siamo autori di tutto ciò che facciamo, e tu non sei che un imitatore. Ora è ben difficile che la imitazione possa eguagliare la veritá; ed è da temersi che, discostandoti a poco a poco e quasi insensibilmente da' tuoi modelli, tu rappresenterai un giorno cose tutte diverse e corromperai gli animi de' cittadini con quella falsa specie di diletto, che nasce dalla imitazione e talora vince lo stesso diletto che vien dalla veritá. Vedi tu, o buon uomo, questa cittá nostra? Affinché ciascuno faccia sempre bene ciò che deve fare, noi abbiamo stabilito per legge che nessuno possa far due cose.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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