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      Gl'iddii (chi può conoscere tutte le vie dalla loro sapienza e della giustizia loro?) gl'iddii tolsero il lume agli occhi di Dafni, che era anch'egli figlio di un dio. Egli piú non vedeva il bel colore di rosa, onde l'aurora abbellisce l'azzurro de' cieli nelle limpide mattine della primavera; ma udiva il canto degli augelli, e vi univa il suo per lodare il sole, di cui, se non vedeva la luce, godeva il calore vitale che anima tutta la natura. - O miei amici! - egli diceva ai pastori che lo circondavano e mostravan pietá del suo misero stato - i benefici degl'iddii sono tanti, che, per quanto ci tolgano, la parte, che ce ne rimane, è sempre la maggiore. - Cosí i suoi canti, dopo le sue sciagure, insegnavano agli uomini nuove virtú.
      Quando il giovinetto Dafni morí, tutt'i pastori lo piansero. Vasto, lungo silenzio ricoprí tutt'i nostri colli: ne era morto il piú grande ornamento(230).
      E qual mente dovettero avere ed Empedocle e Parmenide, che primi adoprarono i carmi a descriver quel vero, che nel fondo del loro intelletto si dipingeva come l'immagine di un oggetto luminoso nel fondo di terso e fido specchio? La Grecia intera stupí, quando il rapsodo Cleomene ripeté nell'arena olimpica i carmi di Empedocle(231): gli altri rapsodi rinunciarono al certame, disperando della vittoria, e dimandavan tra loro: - Chi è dunque quest'uomo, i di cui canti si misurano coll'universo? - Quando udirono che quest'istesso uomo avea nobilitato la sua patria cogli studi del vero, l'avea ornata con costumi piú puri e piú santi, riordinata con leggi migliori(232), i rapsodi mercenari dissero: - Come mai un uomo, che sapeva e faceva tante altre cose, ha potuto cantar anche quei carmi?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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