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      - Ma i pochi sapienti, che vi erano, dissero: - Se non sapeva e non oprava tante altre cose belle e sublimi, non poteva cantar tanto belli e sublimi carmi. -
      Ma quanti prestan fede ai detti de' sapienti? Quanti amano ritentar quella strada che giá corse Orfeo di Crotone; che Pisistrato chiamò in Atene, onde farlo partecipe della gloria, che toccava ad Omero, di ridestar gli animi de' greci a nobili imprese cogli esempi de' loro maggiori? Pisistrato raccolse i canti di Omero e fece cantare da Orfeo i travagli e le glorie degli argonauti(233). Questa stessa strada corsero quell'Ibico di Reggio, la di cui morte con sí grande miracolo vendicarono gl'iddii, e l'onor d'Imera, Stesicoro, quel grave conoscitore e dipintor di costumi, che non temette il potere di Falaride ed osò parlargli parole di giustizia e di umanitá, e spesso ne temperò e ne sospese l'ira; come narrasi che il tracio Orfeo piegasse co' suoi canti le menti di quegli iddii infernali, i quali dicesi che non sappiano perdonare(234).
      Simili alle acque che sgorgano da abbondante montana sorgente, limpide, piene, perenni, sono i canti di que' vati, che hanno mente sublime e cuore ricco di virtú.
      Ma vedi Apollodoro, che raccoglie con improba diligenza i pensieri, le parole, le sillabe degli altri, e tenta farne un poema, che poi si dica suo! Egli rassomiglia ad uomo, il quale, raccogliendo in un guscio di noce le gocce della rugiada, che brillano la mattina sulle frondi degli alberi, tenta farne un ruscello. - Il mio ruscello - egli dice - sará piú bello degli altri, perché l'acqua, che io raccolgo, è la piú bella.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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