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      La scienza e l'arte, che io ho, sono una ereditá de' miei maggiori. Aggiungi, o Cleobolo, che, quando talora osserviamo gli oggetti che son fuori di noi, non facciamo altro che osservar noi stessi. Crediamo vedere le cose esteriori, ma in veritá non facciamo che riflettere sulle nostre sensazioni; e le sensazioni sono operazioni nostre. Mentre osserviamo, quasi imitiamo ciò che ci pare di osservare; e quelle cose noi piú facilmente osserviamo, che sappiamo con maggiore speditezza imitare. Non è l'occhio dell'artefice quello che scopre nell'opre dell'arte sua maggior numero e di bellezze e di difetti? Chi è piú atto a conoscer le grazie dell'altrui canto? colui che sa meglio cantare, che sa meglio imitarle. Or, per imitare il canto, è necessitá aver nell'orecchio e nella voce alcune disposizioni, le quali o ci sono donate dalla natura o si acquistan per arte. Per dono della natura l'hanno pochi: l'arte è quella, la quale, osservando gli effetti di tali doni in coloro che l'hanno, insegna agli altri ad imitarli, supplendo alla generositá della natura colla propria industria. L'arte ha reso comune ciò che in origine era di pochi; l'arte, rendendo piú facile l'imitazione, ha resa piú generale l'osservazione; questa ha scoperte nuove bellezze; e cosí l'arte ha eguagliata e spesso anche vinta la natura.
      Ora questi artifíci eran piú difficili a scoprirsi nella pittura che nel canto(289). Difficile era sopratutto conoscer l'effetto del lume, distinguer la varia sua forza, la sua varia direzione; ed i diversi oggetti che imitar si volevano, disporre in modo che ora piú vicini ora piú lontani apparissero, ora piú chiari ora piú oscuri, e ti dassero, con la discorde concordia di tutte le parti, un'armonia, che l'attenzione, senza mai stancarla, tenesse continuamente desta, e l'animo, senza distrarlo, di molte cose nel tempo stesso occupasse.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





Cleobolo