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      Platone mi fa osservare nella politica degl'italiani molte cose che noi o ignoriamo ancora o abbiam incominciato a studiar da poco. Molte altre s'incominciano ad introdurre tra noi, che qui vanno in desuetudine.
      Gl'italiani, per esempio, intendono meglio di noi l'arte di costruire una cittá. I nostri architetti sanno costruirti un solo edificio. Maestosi tempii, ampi e magnifici teatri, qualche portico elegante; di tali cose non scarseggiamo, per certo, in Atene. Ma Atene, Atene istessa che cosa è mai? un aggregato di villaggi, gli abitanti de' quali si radunano, ne' giorni di festa o di comizi o di mercato, alle falde del colle, sul quale è una ròcca ed intorno intorno sonvi un paio di tempii, una curia, un fòro, un teatro...; ma non vi è cittá(338). Ed Argo che cosa è mai? e che son mai tutte le altre nostre antiche cittá? Case che sembrano castellacci, strade anguste, torte, fangose; niuna cura del comodo, della sicurezza, della sanitá dei cittadini. Quando sei in una cittá nostra, ti pare di essere in un bosco(339). Ben diverse sono le cittá d'Italia. Turio è la cittá piú regolare che io abbia mai veduta. Taranto, Locri, Crotone cedono di poco a Turio. Trovi in tutte opere immense, che diresti fatte dal gran re, per provvedere alla pubblica nettezza(340).
      Dobbiamo esser grati a quel matto d'Ippodamo figlio di Eurifonte milesio, che il primo ci ha insegnato un nuovo modo di costruir le cittá(341). Egli era un pittagorico(342), ed apprese dai suoi maestri la scienza di governar i popoli, della quale, prima di lui, tra noi non si eran mai occupati i privati(343). Che importa che egli abbia fatto ridere i saggi per la smodata brama che avea di gloria, per aver voluto scrivere di ogni cosa, per aver date come nuove le sue idee sulla repubblica, delle quali alcune eran puerili, altre ineseguibili, moltissime giá vecchie(344)? Che importa che siasi reso ridicolo al popolo per la lunghezza de' suoi capelli, per la ricchezza delli suoi ornati, e per quella sua tunica stretta, grave, di panno dozzinalissimo, che egli portava anche tra gli ardori del mese della messe(345)? A lui dobbiamo il Pireo, a lui le prime idee di un'arte che renderebbe piú bella la nostra Grecia.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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