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      Che bisogno abbiam noi di sapere se tutto ciò che vediamo e sentiamo esista? Io, che penso, che vedo, che sento; io, per certo, esisto. L'universo intero altro non sará che la serie delle mie idee; ma queste idee esistono anche esse. E chi è mai la cagione di tutte le mie idee? Se non esiste altro ente, debbo esserlo io stesso. Io debbo intendere tutto ciò che avviene in me; non potrei fare ciò che non conosco; idea e cagione si alternan tra loro(388). Io debbo dunque conoscere in ogni mia idea, in ogni mia sensazione la veritá, o sia l'esistenza della ragione che la produce, l'intrinseca sua natura, le sue cagioni, i suoi effetti(389).
      Or avete voi mai meditato profondamente sulla natura della nostra mente? Essa non perviene a conoscere l'esistenza, la natura, le cagioni delle cose, se non per mezzo d'idee generali che ella stessa scopre accoppiando e separando le particolari. Ove la serie delle idee generali si arresta, ivi si arresta anche l'intelligenza umana; ivi è segno che l'uomo non vede piú innanzi la simiglianza delle cose, e che in conseguenza ne ignora la natura e le cagioni. Se l'uomo producesse egli realmente le idee che ha, quell'universo che vede, che immagina; se veramente lo conoscesse, dovrebbe, passando da un'idea all'altra, pervenire ad un'idea universale ed unica (imperocché, se non fosse unica, cesserebbe di esser universale(390)), nella quale tutte le altre fossero contenute.
      Sentite voi di aver in voi stessi questa idea? Avete voi sempre un sicuro criterio di vero, o siete costretti ad ondeggiar piú volte tra oscuritá, tra dubbi, tra incertezze interminabili, tra invincibili errori?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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