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      Si aggiugne a ciò che, dopo le grandi vicende civili, quali sono quelle che l'Italia ha sofferte, le menti degli uomini ondeggiano tra incertezze maggiori, e quasi temono piú i rimedi che i mali. Tutto è eccesso di fiducia nel momento che precede una rivoluzione; tutto è diffidenza nel momento che la segue: per quella si pérdono i beni, e per questa non si evitano i mali. Imperciocché è impossibile proporre qualunque cosa utile al pubblico, neanche, per esempio, la restaurazione di una strada, senza ricorrere, per renderne ragione, ad una di quelle idee generali di "pubblico bene", di "ordine", di "sicurezza", di "libertá", delle quali il furor de' partiti ha sí stranamente abusato, che oggi è impossibile separarle dall'idea dell'abuso. Se tu parli di libertá, l'oligarca rammenta che di questa parola fecero uso i bruzi per sollevare tutt'i popoli e desolar tutte le cittá! Se parli di ordine, il popolare teme gli effetti di una parola colla quale difendevan gli oligarchi le antiche usurpazioni; e cosí, temendo ciascuno il ritorno di mali peggiori, la cittá si consuma soffrendo i presenti. Non si adopra nessun rimedio, o, se pur se ne adopra alcuno, è quello appunto che non fa temere verun partito, perché non produce verun effetto; e ti restaurano, per esempio, un tempio, ti riordinano una festa religiosa giá trascurata, ti ristabiliscono un collegio di sacerdoti giá abolito quarant'anni prima, e credono per tal modo rendersi propizi gl'iddii da' quali dicon dipendere la salute delle cittá. Ma gl'iddii proteggono gli uomini virtuosi che li pregano, abominano gli stolti che li tentano.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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