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      Io parlava degli effetti che le consonanze producevano sulle mie orecchie, ed essi mi rispondevano che l'orecchio non si doveva ascoltare, che l'armonia non avea che fare coll'orecchio. - Sará - diss'io allora; e questa mi pare la miglior risposta che possa dare un ateniese che si trova in Taranto.
      Finalmente vien il giorno del concorso. I pittagorici aveano avuto la cura di occupar tutti i primi sedili. La musica di Mnesarco incomincia, ed essi incominciano ad applaudire. Per la prima volta furon soli; questo li raffreddò, e per la seconda volta gli applausi furon meno caldi; la terza volta tacquero; la quarta tutti gli spettatori incominciarono a fischiare; al quinto coro, uno sbadiglio profondo incominciò da un angolo del teatro e ne fece tutto intero il giro, simile ad un vapore sonnifero di Lete, che, esalando dal fondo, si fosse sparso vorticoso a riempierne le vòlte.
      Io non dissi nulla, perché non amo insultare nessuno, neanche quando ho ragione. Era vicina a me la pittagorica Mnesilla, la quale non ardiva aprir bocca; io le diedi coraggio.
      - Tutte le regole di Pittagora - le dissi - non possono dare una dramma di genio: non convien attribuire a Pittagora gli errori del compositore; e siccome è superbia dire che i precetti di Pittagora siena infallibili, cosí sarebbe follia condannarli come falsi perché una volta non abbiano ottenuto l'effetto che il maestro prometteva. -
      Ma a te, a te dirò liberamente quello che penso. Tutta la Grecia è ai tempi nostri in convulsione per la musica; i nostri padri non vi pensavano.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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