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      Si volle far pompa di gorgheggi e di trilli; si applaudí alle ardite novitá; la misura de' versi e delle parole, quella misura tanto severa presso i nostri antichi che indicava finanche le lettere, non vi fu piú. E qual musica poteva rimanere allora? I nostri furono piú dilettati e meno commossi; la musica antica la trovaron dura, rozza, ma non furono contenti della nuova; e cosí, passando da cangiamento in cangiamento, noi, figli corrottissimi di padri degeneri, perverremo un giorno al segno di non aver altro che rumore. Di musica non ne avremo piú.
      Non so se tu lo hai avvertito, ma tutte le arti d'imitazione vanno per questi gradi: incominciano dal rozzo, quando la mancanza de' mezzi impedisce la veritá perfetta dell'imitazione: passano al sublime, che non è se non l'imitazione perfetta; dal sublime discendono al bello, e s'incomincia a parlare ai sensi; dopo il bello i sensi, incontentabili, chiedono il grazioso, ed indi viene il corrotto. Fidia e Scopa segnano l'epoca del sublime nella scoltura; i loro discepoli corrono verso quella del bello, che Timoteo nella musica ha giá toccato. La musica è giá piú corrotta della scoltura, perché piú vicina al lezioso.
      Ti fa meraviglia che gli spartani abbian quasi discacciato Timoteo dalla cittá loro, ed io ammiro questo tratto, di cui pare che tu vuoi ridere. Il ragionamento infatti, che tu metti in bocca degli spartani, è degno d'un giovine ateniese. Ma immagina per poco che, all'arrivo di Timoteo, un eforo avesse detto ai suoi compagni: - Cittadini! una nuova musica si vuole introdurre tra noi.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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