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      Attilia li accoglie e li abbraccia come tanti fratelli; e, godendo alle lodi ch'essi danno ad un padre che ama, avvezza il suo giovine cuore a gustare i piaceri della beneficenza. Ed io intanto quasi arrossisco di queste tante loro benedizioni; perché poi, in veritá, che altro ho fatto io per essi se non quello ch'era utile a me stesso?
      Tu lo hai detto ieri, o Cleobolo: la terra non ama di esser coltivata da una mano servile o mercenaria. Questo è quello che ho fatto io. Non potea io solo coltivar tutte le terre de' mie genitori: coltivate da' servi, rendevan poco: le ho divise, ne ho ritenute per me tante quante io ne poteva coltivare, e le altre le ho date ad uomini liberi. Io son diventato piú ricco, ed ho resi cinquanta miei simili piú felici. Oh! quanto poco costa il far il bene a colui il quale ama piuttosto veder coltivate le sue terre che i vizi suoi! In tutto il tempo della mia vita ambiziosa, quando era rettor della patria mia, non ho fatti mai tanti felici.
      - Uomo saggio! - esclamai io allora - no, non posso crederlo: chi ha una mente quale tu l'hai, non ha fatto mai spargere una lagrima sola. -
      Ei mi guardò qualche istante, indi riprese: - Giovine, l'uomo cui è affidata la sorte di una cittá non è un dio, e neanche ad un dio è dato l'impedir che non ci sia un infelice. Il far de' felici non è sempre in mano di chi governa. La natura moltiplica gli uomini, né si stanca mai di produrne; ma la generazione, che giá vive, non lascia mai nulla a quella che deve nascere ancora, e dopo molte generazioni tu trovi sempre che una ha giá usurpato tutto e dieci rimangono senza nulla.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





Cleobolo