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      ... Rodope infelice! hai tu perduto di nuovo il tuo Demofoonte...? Ma hai imposto tu stessa al tuo Demofoonte di partire?
      Come cresce l'ambascia del mio cuore!... Scorro tutt'i siti, tutti gli oggetti.... Non ve n'è uno, un solo, il quale non mi rammenti lui.... Ed oggi dove è?
      O sole, egli ora scorre que' monti, verso i quali tu, lasciando il mare, t'incammini col luminoso tuo carro. Salve, o sole! siigli propizio, proteggilo, guidalo; io soffrirò molto... tutto. Ma sia egli lontano, purché sia felice, purché si ricordi di me, purché mi ami....
      Se io fossi certa ch'egli non dovesse ritornar piú, a quest'ora, in questo loco, il fiotto del mare sottoposto non si udirebbe invano da me.... Io non potrei soffrire l'idea di non dover rivedere piú Cleobolo.
      Perché dunque l'ho fatto io partire?... Egli mi amava.... Ho io forsi temuto l'amor suo? ho desiderata la gloria di vincere? Gloriosa vittoria, che si acquista allontanandosi dal pericolo!... Ho voluto io far crescere il suo amore? E se si stanca? se non mi ama piú?
     
      Oh! credilo pure, Mnesilla: la voce del cuore non inganna mai. Se tu non fossi stata ingiusta con Cleobolo, soffriresti ora quelle pene che soffri, quella noia, quel tedio della vita, del quale i tiranni stessi non sanno inventare tormento maggiore?
      Ogni colpa porta con sé una pena determinata: le gravissime sono seguite dalla morte. E la morte, il piú delle volte, che altro ci toglie fuorché la sensazion del dolore? Ma questo genere di pena che io soffro, questa insoffribile inquietezza, onde tutte le mie membra, tutt'i miei sensi sono compressi, e per la quale io non soffro una, due, tre privazioni, ma tutte, perché tutto mi annoia e la vita non mi rimane se non per moltiplicare le privazioni; questa specie di pena indefinita, incerta, ma universale, a quale specie di colpa l'ha destinata la giustizia degli iddii?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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