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      Platone mi scrive cosí:
     
      Il sentire appartiene alla parte inferiore di noi; riflettere sopra ciò che si sente è proprio della mente. Quella inquietezza universale, insoffribile, della quale tu ti lagni, rassomiglia ad un sogno che a noi anche tra la veglia invian gl'iddii, i quali, per ammonirei, spesso adoprano i sogni, cioè immagini oscure e confuse; perché gl'iddii, nel tempo istesso che ci voglion felici, esigono che lo siamo per opra della nostra ragione. Questo stato d'inquietezza è doloroso, piú doloroso, se vuoi, di ogni altro male; ma è però un'ammonizione e non giá una pena. Guai a coloro che non sentono quest'ammonizione! guai a quegli altri che si vantan di soffogarla! Quelli san privi del consiglio degl'iddii, questi lo disprezzano: ambedue potranno esser talvolta fortunati, ma felici non mai. Savi e felici sono coloro i quali ricevono con venerazione le ispirazioni degl'iddii e sono attenti ad interrogar l'animo loro, onde divenir di giorno in giorno migliori. Né tu hai alcuna colpa, né gl'iddii ti voglion punire. Hai allontanato da te colui che ami e da cui sei amata. Hai tu cessato di amarlo? e se tu lo ami ancora, che importa ch'egli sia vicino o lontano? Tu hai fatto per virtú ciò che un'altra avrebbe fatto per capriccio. La felicitá nella vita, simile all'armonia nella musica, non si ottiene se non col sospendere, col ritardare, quanto piú è possibile, le cadenze.
      Di tali sospensioni l'uso tra le donne è diverso. La stanchezza de' diletti v'induce molte per noia; altre le desiderano per orgoglio, perché, piú che amare, bramano esser amate; e tanto le prime quanto le seconde possono accrescere il diletto, ma non mai la perfezione, della quale si dice che sia padre l'amore.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772