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      Non ti dirò qual fu l'esito di quella guerra, perché l'animo mio inorridisce ancora alla memoria del lutto, della desolazione, della miseria a cui fu allora la mia patria ridotta. Io era ancor giovinetto ed i miei genitori mi condussero sul Campidoglio, ove si era riunito tutto ciò che formava Roma, e dove i piú coraggiosi de' romani avean risoluto di difenderla o di perir con lei. Ho ancora presenti alla mente e le misere donne, e le sacre vestali, ed i sacerdoti, e la maggior parte del popolo, che abbandonavan piangendo i tetti ove eran nati, le contrade nelle quali eran vissuti, e correvano ad implorare un asilo dalla pietá di quelle stesse cittá vicine, alle quali, pochi mesi prima, o avean dettate leggi o prestato soccorso. L'incendio intanto, che i Galli aveano acceso in tutt'i nostri campi, splendeva all'occidente, ed illuminava di un lume funebre tutto l'orrore di quella notte. I piú vecchi tra i senatori, vestiti delle loro trabee, si assisero sui vestiboli delle proprie case, fermi di morirvi colla patria; e, quando i Galli entrarono, non li distinsero dalle statue, che ornavano i peristili, se non pel sangue che scorse dalle ferite. Quei che eran rinchiusi nel Campidoglio fecero per molti giorni la piú vigorosa difesa. Varie volte i Galli tentaron l'assalto, e furon respinti; varie volte ricorsero alle frodi, e furono, ora per prudenza degli uomini, ora per favor degl'iddii, sempre scoperti. Una notte, la nostra sorte era quasi decisa. I Galli giá tenevan le mura. Aveano scoperto un sentiero, il quale, perché riputato inaccessibile, non era difeso.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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