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      Vi eran de' cani, ed i cani immersi nel sonno tacquero; ma per buona sorte vi erano anche delle oche, le quali col loro schiamazzare destarono Manlio, che accorse al pericolo, e rovesciò di sua mano il primo Gallo che giá scalava il muro. Tutti in un momento furon desti, tutti sull'armi; il nemico fu respinto. Si resero grandi lodi a Manlio, e molte piú a Giunone, alla di cui protezione si attribuí il miracolo poiché le oche erano sacre a lei ed alimentate nel suo tempio.
      Ma che potea sperarsi mai da piú lunga e piú ostinata difesa? La cittá tutta non era che un mucchio di sassi e di ceneri; la ròcca potea resistere ancora qualche altro giorno, ma giá mancavano i viveri: quando non ci avesse vinti il nemico, ci avrebbe estinti un giorno inevitabilmente la fame. I piú coraggiosi incominciarono a comprendere che il valore era inutile; i piú prudenti incominciarono ad aprir qualche trattativa coi Galli, stanchi anch'essi di un assedio lunghissimo, che avea ripieno il loro esercito di malattie. Si convenne che noi avremmo comperato dai Galli a prezzo di oro il dritto di poter uscire dal Campidoglio ed andarne altrove a cercare un'altra patria.
      Chi non avrebbe allora creduta Roma perduta, e perduta per sempre? Eternamente schiavo rimane chiunque, una volta, una volta sola, abbia commessa la viltá di comperar la sua vita.
      Ma ecco che giunge Camillo; quel Camillo, che di tanti trionfi avea accresciuta la gloria del nome romano; quel Camillo, che la feccia del popolo, sempre ingiusta, perché sempre invidiosa delle virtú che non sa emulare, avea un anno prima condannato all'esilio; quel Camillo, il quale, uscendo dalle porte di Roma, avea pregati gl'iddii, vendicatori delle ingiurie fatte agli innocenti, perché ridestassero nuovo desiderio di sé negli animi degl'ingrati suoi concittadini.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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