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      E qui, o Platone, cessa la storia ideale possibile, e viene un fatto unico, incredibile, quasi impossibile, o tale almeno che l'eguale non si ritrova nella storia di nessun altro popolo. La plebe si mette in aperta sedizione, si ritira sul Monte Sacro, ed ivi se ne sta parecchi giorni senza trascorrere a nessuna violenza, evitando finanche la villania delle parole, tanto facile e tanto scusabile in chi reclama i propri diritti. A dirti il vero, io non posso dar ragione di tale avvenimento altrimenti che reputandolo quasi moralitá di tutta la favola romana. Con questo esempio si è voluto mostrare quanto possano i buoni costumi, l'amor della patria, il rispetto per gl'iddii.
      La plebe chiese ed ottenne magistrati propri. Si chiaman "tribuni", debbono esser plebei, eletti dal popolo riunito in tribú, specie appunto di assemblea nella quale prevale il voto del numero maggiore. La legge li dichiara inviolabili e santi. Nulla posson fare, ma tutto possono impedire: l'editto di un console, la stessa consultazione del senato riman inefficace se un tribuno si oppone, né può mandarsi ad effetto se prima l'affare non siasi proposto al popolo. Hanno giá ottenuto che tutto ciò, che il popolo risolve ne' comizi tributi, leghi anche i padri; cosa che prima non era, e che ha cangiati interamente tutti gli ordini pubblici di Roma. I tribuni han distrutta l'opera di Servio Tullio; i comizi curiati non si convocano piú se non per alcune, piuttosto cerimonie, che affari; i centuriati rimangono solo per l'elezione di alcuni magistrati maggiori.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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