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      Quindi è che essi alla richiesta de' tribuni acremente si opposero, prevedendo quanto sarebbe umiliata l'oligarchia, se leggi chiare, inesorabili soprastassero egualmente ai padri ed alla plebe. Pure i padri, dell'antico potere legislativo, han saputo ritener non piccola parte, rivestendo l'uso, che delle leggi si fa ne' giudizi, di formole solenni, inalterabili, sante, difficili a conoscersi senza un lungo studio, il quale suppone sempre ben curata e quasi diresti patrizia educazione. Per tal modo, se i patrizi han perduta l'autoritá delle leggi, ne ritengono però sempre la scienza, la quale rimarrá sempre aristocratica, perché rimarrá sempre proprietá di pochi ben educati e migliori. E questo parmi che possa produrre due non piccioli beni: il primo, di bilanciare colla forza dell'opinione l'ascendente de' guerrieri, facilmente intemperante, se mai riman solo, in una cittá tutta data alle armi; il secondo, di avvezzare il popolo ad una certa ritualitá, per la quale sará piú temperante e modesto, sia nel godere, sia nel soffrire, sia nel desiderare. Un popolo non è mai corrotto a segno da voler ciò ch'egli stesso crede esser ingiusto. Ma conosce il popolo la giustizia? Bisogna dunque fargliela vedere, toccare; bisogna vestirla di azioni, di formole, di parole: rispetterá le parole, le formole, le azioni che vede, ed a questo modo si avvezzerá a rispettar la giustizia, che non intende e non intenderá mai. Io non credo impossibile che questa giurisprudenza, che hanno i romani, possa qualche volta salvar la patria(518).


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772