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      Al cospetto del gran re, nessun uomo emula piú l'altro: e che invidierebbe, se son tutti nulla? Quanto dura la vera vita di una cittá? Tanto quanto dura la disputa. Tutt'i popoli hanno un periodo di vita certo e quasi diresti fatale, il quale incomincia dall'estrema barbarie, cioè dall'estrema ignoranza ed oppressione, e finisce nell'estrema licenza di ordini, di costumi, d'idee. Nella prima etá i padri han tutto, sanno tutto, fanno tutto, posseggon tutto. Se le cose si rimanessero sempre cosí, la cittá sarebbe sempre barbara, cioè sempre fanciulla. È necessario che si ceda alla plebe, ma a poco a poco, ed in modo che non se le dia né meno né piú di quello che le bisogna: l'uno e l'altro eccesso porta seco o pericolosa sedizione o languore piú funesto della sedizione istessa. È necessario che il popolo prosperi sempre e che abbia sempre nuovi bisogni, perché questo è il segno piú certo della sua prosperitá. Guai a quella cittá in cui il popolo non ha nulla!(558). Ma due volte guai a quell'altra, in cui, non avendo nulla, nulla chiede! È segno che la miseria gli abbia tolto non solo, come dice Omero, la metá dell'anima, ma anche l'ultimo spirito di vita che ci rimane nelle afflizioni, e che consiste nel lagnarsi. È necessario però che il popolo e pretenda con modestia, e riceva con gratitudine, e non cessi mai di sperare. E tu hai ben detto che questa temperanza del popolo romano ti sembra nella di lui istoria tanto ammirabile, che quasi la riponi tra le favole milesie e le altre tali che le nostre nudrici narrano ai fanciulli(559). Ma sai tu donde vien questo costume, che tanto straordinario a te sembra?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





Omero