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      Se non m'inganno, voi siete in continua guerra coi vostri vicini; e prevedo che tra poco ne incomincerá una coi romani, la quale non finirá se non colla distruzione del Sannio o di Roma. Qualunque de' due popoli avvien che vinca l'altro, rimarrá padrone dell'Italia; perché la stessa ragione per cui la guerra non avrá fine se non colla distruzione di uno di voi, quella stessa ragione fará sí che il vincitore diventerá padrone di tutto. Questa ragione è una: in Italia (perdonami, o patria: io lo dico con dolore, ma posso io negarlo?) non esistono che due soli popoli veramente popoli, voi ed i romani: non potete esser amici, perché siete soli; vi farete la guerra, perché non vi è chi la possa impedire; non farete la pace, perché non vi è chi vi possa conciliare; occuperete tutto, perché non vi è chi possa resistere.
      Vedi il destino della tua patria? Essa è in un bivio: è tuo dovere indirizzarla per quella via onde si va a salute. Dopo la vittoria voi diventerete insolenti e molli; sarete prima l'ammirazione di tutti, poscia il flagello di molti, finalmente il disprezzo di qualche popolo che vendicherá tutti gli altri. Ma che fare contro il fato, il quale non conserva la specie se non colla distruzione degl'individui? Se tutte le nazioni fossero savie, meriterebbe l'esecrazione degli uomini colui il quale credesse riporsi la felicitá nella forza. Ma, poiché i figli della terra non sanno esser pacifici nella loro abitazione, saggio è colui il quale, nell'ondeggiar continuo delle vicende umane, sa prender tale attitudine per cui si soffra dagli altri danno minore; e poiché è destino che i popoli nascano, crescano, invecchino e muoiano, è necessario che il saggio non obblii mai le norme del giusto, ma che le adatti agli ordini del destino, onde, in tutte l'etá e tra tutte le vicende, sappia far sí che il suo popolo sia il meno che sia possibile infelice.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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