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      Allora la storia delle azioni degli uomini diventa il quadro sublime di una moltiplice ma costante esecuzione di un solo ed eterno disegno della provvidenza; e questa terra, che noi abitiamo, diventa veracemente, siccome dice Ocello, la cittá degl'iddii.
      Da quella favola, che io ti ho narrata, vedi che gl'iddii crearon gli uomini capaci di virtú. Questo era il massimo dono che potevan gli uomini ricevere. Ma la virtú negl'iddii è natura: non può esserla nell'uomo, perché allora le sue forze dovrebbero esser perfette, dovrebbe cessar di esser uomo. Iddio non fece che mostrarsi a tutti gli uomini siccome esemplare di tutt'i beni: ecco la prima etá del mondo. Poscia lasciò operare le forze che non inutilmente avea create, lasciò in arbitrio degli uomini l'acquistar quelle virtú che li rendessero a lui somiglianti: ecco la seconda etá. Lo stesso Minosse non imparò la virtú dal padre(635). È necessario acquistarla questa virtú, bramarla ardentemente, conoscerne il pregio e l'utilitá, sentirla per quell'esperimento che persuade piú della ragione, avvezzarsi al giusto per timore dell'ingiusto. I vizi di pochi servono all'ordine generale sia per ridestare ne' molti piú vivo il desiderio della virtú, sia per ridonare ai buoni quella fortezza, ch'è nel tempo istesso la virtú della quale gli uomini ed hanno maggior bisogno e mancano piú facilmente, e la di cui mancanza moltiplica e rende piú audaci gli scellerati. Talora, simili alle tempeste, che turbano il corso delle stagioni, ma avvezzan gli uomini a maggiore provvidenza, onde poi la vita si rende piú agiata e sicura, i vizi de' pochi rendono i molti piú cauti, e sono occasioni di ottime leggi, per le quali minorasi il numero e rendonsi piú rari i delitti.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





Ocello Minosse Iddio