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      Ma da questa infanzia e da questo sonno tu vedi i popoli risorgere piú vigorosi di mente, di cuore, di mano; piú pieni di esperienza di mali, piú caldi di desiderio di beni; piú atti infine alle arti, alle scienze, alla virtú.
      Talora vedi le nazioni urtarsi, guerreggiarsi a vicenda, e vincere e perdere, finché una conquisti l'imperio di molte. Ma, se ben rifletti, l'indipendenza, che perdono pochi popoli, è sempre giusta pena dell'obblio precedente della loro virtú; poiché non mai cessa di esser libero un popolo se da molto tempo prima non si era reso indegno di esserlo; e questa pena di pochi si converte in beneficio di tutti. Imperciocché i popoli coll'unione si comunicano le loro esperienze, le loro arti, il loro sapere; la sapienza di un popolo diventa sapienza del genere umano; i vari costumi diventan simili, le varie passioni, a forza di mescersi e di temperarsi a vicenda, diventano meno feroci, siccome le monete a forza di stropicciarsi vicendevolmente diventano meno ruvide ed angolose; e quei conquistatori, i quali si reputan dagli stolti esser il flagello della terra, sono in veritá i primi e piú efficaci promotori della civiltá umana(636). Ciò, ch'essi producono di male presente, è l'inevitabile pena de' vizi e della dappocaggine de' popoli vinti; ciò, che producon di bene futuro, è l'inevitabile effetto della loro propria virtú; ed è egualmente nell'ordine universale che i vizi non sieno senza pena e le virtú non siena inutili all'umanita.
      Finalmente, dopo un certo numero di tali vicende, che dir si possono minori, avviene una di quelle grandissime colle quali quella stessa legge universale, che fa servire costantemente la vita dell'individuo alla conservazione della specie, immola la specie istessa alla conservazione ed al rinnovellamento della terra intera.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772