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      E questo č il dolore che prova l'uomo, il quale ama veracemente la patria; dolore diverso da tutti gli altri, misto di abbattimento e di audacia, ma di abbattimento che non č mai senza speranza, e di audacia che non č mai senza timori; onde č che né l'abbattimento produce mai quella insensibilitá che viene dalla stanchezza, né l'audacia dá mai fine al desiderio, ma par che tutti questi affetti si temperino a vicenda, onde prolungare il senso del dolore.
     
     
     
      LXXVII
     
      DI PLATONE A CLEOBOLO[Conclusione.]
     
      Cosí cade, o Cleobolo, qualunque altro impero ove non č unitá. Cosí cadrá la Grecia, se non cesserá la disunione tra le varie cittá che la compongono, tra gli uomini che abitano ciascuna cittá. Imperciocché, ovunque č sapienza, ivi si tende all'unitá; all'unitá si tende ovunque č virtú, il fine della quale č di render i cittadini concordi e simili; né possono esserlo se non son buoni. La vita istessa di tutti gli esseri non č se non lo sforzo degli elementi, che li compongono, verso l'unitá. Ovunque non vi č unitá, ivi non č piú né sapienza, né virtú, né vita, e si corre a gran giornate alla morte.
      Or tu sei giá alla metá del tuo viaggio. Te richiaman gli amici, la patria, la madre. Non ci rivedremo se non in Atene, e forse per soli pochi giorni: si appressa per me l'ora d'intraprendere un viaggio piú lungo. Tu intanto non perdere il frutto di quello che hai giá fatto. Ami Mnesilla e ne sei amato: ella lascerá Taranto per venire a dividere con te in Atene i doveri, le gioie e le pene della vita.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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