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      Tale è l'idea che io ho formata della politica di que' tempi e della parte che i pittagorici e gli eleatici vi rappresentavano. Idea che finora non mi pare che sia stata avvertita da altri, intenti a seguire gli scrittori posteriori, che han fatto de' pittagorici una setta di monaci superstiziosi anziché di uomini di Stato; ma idea che mi pare consentanea alla ragione ed a quelle poche memorie genuine, che sono pervenute fino a noi, di un periodo di storia gloriosissimo della nostra Italia ma nel tempo istesso oscurissimo.
      Quali effetti dovean nascere da questi semi, tosto che gli ordini fossero stati rotti e tolto ogni freno alla licenza? Guerre crudeli, distruttive di ogni considerazione politica; e tali ce le fanno comprendere le tante sollevazioni contro i pittagorici, tali le parole memorabili di Giustino.
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      Coll'incendio de' collegi e delle case de' pittagorici (perché queste certamente non saranno state salve dal sacco e dal fuoco), perduti i libri, estinta per la persecuzione ogni tradizione, come mai si sarebbe conservata la dottrina?
      Né mai, dopo l'epoca infelice della quale parliamo, la nostra Italia meridionale ebbe piú pace. A Dionisio successe Agatocle, ad Agatocle Alessandro, Pirro, i cartaginesi, i romani. Il partito vincitore uní, siccome sempre suole avvenire, alla persecuzione il disprezzo, e forsi allora fu che il sarcasmo della commedia fu diretto a deridere una sapienza che era invisa al partito vincitore.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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