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      Cicerone, uno degli uomini che avean piú letto e piú potuto leggere, non ne cita quasi mai. Né ciò avvien per poca stima che avesse delle loro dottrine: ché anzi, ogni volta che gli accade di farne menzione, lo fa sempre con molto onore. Plinio, l'altro tra i piú voraci leggitori di Roma, avea letti anche egli pochissimi libri pittagorici. Rufino taccia san Girolamo d'impostura, perché citava i libri de' pittagorici, che nessuno avea letti e nessuno avea potuti leggere; e san Girolamo per sua difesa non altro risponde se non che li citava sulla fede di Cicerone, di Bruto, di Seneca. Né poteva avvenir diversamente. Nella disputa sulla precedenza tra i moderni e gli antichi, Fontenelle diceva che gli antichi apparivan superiori a noi sol perché il tempo, distruggendo tutte le loro opere cattive, avea conservate solamente le buone. Questo motto fu creduto vero, ed è falso. Il tempo non ha conservato degli antichi né conserverá di noi i libri migliori. La posteritá è giusta, e perciò conserva i grandi nomi. Ma i posteri sono stolti come gli antenati e, siccome è natura di tutti gli stolti, ammirano il buono ma ritengono ed imitano il pessimo.
      Io talvolta fingo tra me e me l'ipotesi che una barbarie, simile a quella che altre volte distrusse i monumenti della civiltá greca e romana, ritorni di nuovo in Europa. Tale ipotesi a molti sembra impossibile; a me non solamente possibile, ma anche inevitabile. Ma, sia o non sia possibile, supponiamola per un momento, e vediamo quello che ne avverrebbe: cosí sapremo ciò che è avvenuto nell'altra.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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