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      Trovi allora qualche proposizione di geometria o qualche metodo algebraico registrato in un libro di "segreti". È facile osservarlo in tanti libri di tal natura che ancora abbiamo, avvanzi de' secoli d'ignoranza. E, dovunque ciò si vede, deve conchiudersi che la veritá non è stata scoperta in forza di proprio raziocinio, perché allora avrebbe abito scientifico e rapporto con tutte le altre veritá della scienza; ma bensí imparata per tradizione, sia che questa venga da un altro popolo, sia che venga da una parte della nazione, per qualche ragione accidentale, piú colta dell'altra. Allora è facile trovare in una stessa nazione una sublime veritá allato ad un errore puerile, la conseguenza di una acutissima osservazione a fianco della piú crassa ignoranza.
      Tale è il ritratto, che ci fanno gli storici, della Grecia nell'epoca di Talete. Tale è stato anche il nostro nelli secoli di mezzo. Qual paragone tra la dottrina di Dante e quella de' suoi contemporanei? Sarebbe impossibile creder che Dante tutte quelle veritá geometriche ed astronomiche che ha esposte le avesse sapute scientificamente: allora le scienze sarebbero state facili, ed in conseguenza volgari. Ma egli moltissime le sapeva per tradizione (e chiamo "tradizione" anche la scuola, poiché ne' secoli barbari la scuola non è che autoritá); e questa tradizione era giunta fino a lui dagli antichi che pochissimi leggevano, da quei pochi dotti viventi che parlavano la lingua degli antichi, dagli arabi e dalla Spagna, insomma da una nazione estera.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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