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      Taluni, per non aver fatta questa riflessione, hanno creduto che, quando nel primo tomo, pagina 34, io parlo di coloro che furono perseguitati dall'inquisizione di Stato, e li chiamo «giovinetti senza nome, senza grado, senza fortuna», abbia voluto dichiararli persone di niun merito, quasi della feccia del popolo, che desideravano una rivoluzione per far una fortuna.
      Questo era contrario a tutto il resto dell'opera, in cui mille volte si ripete che in Napoli eran repubblicani tutti coloro che avevano beni e fortuna; che niuna nazione conta tanti che bramassero una riforma per solo amor della patria; che in Napoli la repubblica è caduta quasi per soverchia virtú de' repubblicani... Nell'istesso luogo si dice che i lumi della filosofia erano sparsi in Napoli piú che altrove, e che i saggi travagliavano a diffonderli, sperando che un giorno non rimarrebbero inutili.
      I primi repubblicani furono tutti delle migliori famiglie della capitale e delle province: molti nobili, tutti gentiluomini, ricchi e pieni di lumi; cosicché l'eccesso istesso de' lumi, che superava l'esperienza dell'etá, faceva lor credere facile ciò che realmente era impossibile per lo stato in cui il popolaccio si ritrovava. Essi desideravano il bene, ma non potevano produrre senza il popolo una rivoluzione; e questo appunto è quello che rende inescusabile la tirannica persecuzione destata contro di loro.
      Chi legge con attenzione vede chiaramente che questo appunto ivi si vuol dire. Io altro non ho fatto che riferire quello che allora disse in difesa de' repubblicani il rispettabile presidente del Consiglio, Cito; e Cito era molto lontano dall'ignorare le persone o dal volerle offendere.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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