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      Tante volte e sí altamente per venti anni ci era ripetuto che noi non valevamo nulla, che quasi si era giunto a farcelo credere.
      La nazione napoletana sviluppò prima una frivola mania per le mode degli esteri. Questo produceva un male al nostro commercio ed alle nostre manifatture: in Napoli un sartore non sapeva cucire un abito, se il disegno non fosse venuto da Londra o da Parigi. Dall'imitazione delle vesti si passò a quella del costume e delle maniere, indi all'imitazione delle lingue: si apprendeva il francese e l'inglese, mentre era piú vergognoso il non sapere l'italiano(5). L'imitazione delle lingue portò seco finalmente quella delle opinioni. La mania per le nazioni estere prima avvilisce, indi ammiserisce, finalmente ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cose sue. La regina fu la prima ad aprir la porta a quelle novitá, che ella stessa poi con tanto furore ha perseguitate. Una nazione, che troppo ammira le cose straniere, alle cagioni di rivoluzione che porta seco il corso politico di ogni popolo aggiunge anche quelle degli altri popoli. Quanti tra noi erano democratici solo perché lo erano i francesi? Sopra cento teste voi dovete contare, in ogni nazione, cinquanta donne e quarantotto uomini piú frivoli delle donne: essi non ragionano in altro modo che in questo: - In... si pettina meglio, si veste meglio, si cucina meglio, si parla meglio: la prova n'è che noi ci pettiniamo, mangiamo, ci vestiamo com'essi fanno. Come è possibile che quella nazione non pensi e non operi meglio di noi?


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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