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      Vanni incominciò ad acquistar fama di giudice integro e severissimo colla condotta che tenne col principe di Tarsia, il quale era stato per qualche anno direttore della fabbrica di seterie che il re avea stabilita in San Leucio. Il primo errore forse lo commise il re, affidando tale impresa al principe di Tarsia anziché ad un fabbricante; il secondo lo fu di Tarsia, il quale, non essendo fabbricante, non dovea accettar tale commissione. Ne avvenne quello che ne dovea avvenire. Tarsia era un onestissimo cavaliere, cioè un onestissimo spensierato, incapace di malversare un soldo, ma incapace al tempo istesso d'impedir che gli altri malversassero. Si trovò ne' conti una mancanza di circa cinquantamila scudi. Fu data a Vanni la commissione di liquidare i conti. Non eravi affare piú semplice, perché Tarsia era un uomo che poteva e voleva pagare. Pure Vanni prolungò l'affare non so per quanti anni: cadde il trono, e l'affare di Tarsia ancora pendeva indeciso; ed intanto non eravi genere di vessazioni e d'insulti ai quali non sottoponesse la famiglia di Tarsia, perché, dicesi, tale era l'intenzione di Acton. Gli uomini di buon senso, alcuni dicevano: - Che imbecille! - altri: - Che impostore! - Ma nella corte si faceva dire: - Che giudice integro! Con quanto zelo, con quanta fermezza affronta il principe di Tarsia, un grande di Spagna, un grande officiale del palazzo! - Come se l'ingiustizia che si commette contro i grandi non possa derivar dalle stesse cagioni ed essere egualmente vile che quella che si commette contro i piccioli.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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