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      Simile a tutt'i governi i quali hanno un impero superiore alle proprie forze, il governo di Spagna, ne' tempi della dinastia austriaca, avea procurato di distruggere ciò che non poteva conservare. Si era estinto ogni valor militare. A contenere una nobiltá generosa e potente, il primo de' viceré spagnuoli, Pietro di Toledo, credette opportuno invilupparla tra i lacci di una giurisprudenza cavillosa la quale, nel tempo istesso che offriva facili ed abbondanti ricchezze a coloro che non ne avevano, spogliava quegli che ne abbondavano e moltiplicava oltre il dovere una classe di persone pericolose in ogni Stato, perché potevano divenir ricche senza esser industriose o, ciò che val lo stesso, senza che la loro industria producesse nulla. Tutti gli affari del Regno si discussero nel fòro, e nel fòro si disputò sopra tutti gli affari. Derivaron da ciò molti mali. Tutto ciò che non era materia di disputa forense fu trascurato: agricoltura, arti, commercio, scienze utili, tutto ciò fu considerato piuttosto come oggetto di sterile o voluttuosa curiositá che come studi utili alla prosperitá pubblica e privata. Si è letto per qualche secolo sulla porta delle nostre scuole un distico latino, nel quale la goffaggine dello stile eguagliava la stoltezza del pensiero, e che diceva: «Galeno dá le ricchezze, Giustiniano dá gli onori; tutti gli altri non dánno che paglia». E, se mai taluno, ad onta della mancanza di istruzione, concepiva qualche idea di pubblica utilitá, non poteva eseguirla senza prima soggettarsi ad un esame, il quale, perché fatto innanzi a giudici e con tutte le formole giudiziarie, diventava litigio.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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