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      Il poco che esigeva era malversato; non si pensava a restituire alla nazione ciocché da lei si prendeva; era facile il prevedere che tra poco le rendite non erano bastanti, ed il bisogno delle nuove imposizioni sarebbe stato tanto maggiore nella corte quanto maggiore sarebbe stata nel popolo l'impotenza di pagarle.
      S'incominciò dal cangiare per specolazione taluni dazi indiretti, i quali sembravano gravosi (tali erano, per esempio, quelli sul tabacco e sulla manna), e furono commutati in dazi diretti, che rendevano quasi il doppio. S'impose un dazio sulla caccia, che fino a quell'epoca era stata libera; ma non si pensò a regolarla, perché il dazio interessava la corte ed il regolamento interessava la nazione. S'impose un dazio sull'estrazione de' nostri generi, mentre se ne doveva imporre uno sull'introduzione de' generi esteri. Si ricorse finanche alla risorsa della «crociata», di cui non credo che vi possa essere risorsa piú vile, o che il governo creda o che non creda esser dell'onore della divinitá de' cattolici che in taluni giorni dell'anno si mangino solo alcuni cattivi cibi che ci vendono gli eretici.
      Si ricercarono per tutto il Regno i fondi che due, tre, quattro, dieci secoli prima erano stati posseduti dal fisco, e si aprí una persecuzione contro le cose non meno crudele di quella contro le persone. Finché questa persecuzione fu contro i soli feudatari ed ecclesiastici, fu tollerabile; ma gli agenti del fisco, dopo che ebbero assicurato il dominio, come essi dicevano, del re, annullarono spietatamente tutt'i contratti e, beffandosi di ogni buona fede, turbarono il povero colono, il quale fu costretto a ricomprarsi con una lite o col danaro quel terreno che era stato innaffiato dal sudore de' suoi maggiori e che formar dovea l'unica sussistenza de' figli suoi.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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